Psicoterapia psicoanalitica: mente, corpo, ambiente e il contributo delle neuroscienze

Psicoanalisi

Psicoterapia psicoanalitica: mente, corpo, ambiente e il contributo delle neuroscienze

ANTONIO SUMAN

Psichiatra, psicoterapeuta psicoanalitico, socio fondatore AFPP

Immaginate che un giorno qualcuno vi chieda che cosa significa essere uno psicoterapeuta psicoanalitico. Gli potreste spiegare che vi occupate di curare i disturbi della mente attraverso il linguaggio e la parola. Gli potreste dire che ci sono dei disagi e delle sofferenze che non riguardano solo il corpo ma, appunto soprattutto, la mente. Vi potrebbe dire: se ci sono dei disturbi ci deve essere qualche lesione o alterazione del cervello dando per scontato che la mente sta nel cervello. Ci sarebbero delle lesioni o delle alterazioni che voi pretendete di curare e, magari guarire, con le parole. Ma di quali lesioni/alterazioni si tratta? Qui le risposte si complicano.  Magari in seguito certe domande possono tornare: che cosa è per me la mente? perché non è sufficiente dire che è nel cervello? E in questo caso dove si trova? E poi, seguendo Freud, abbiamo suddiviso la mente in inconscia, conscia e preconscia. Ma l’inconscio è ancora quello descritto da Freud o c’è dell’altro? C’è qualcosa di nuovo sulla “hard question” del rapporto fra il cervello e la mente? E un altro termine molto usato: emozioni, come si definiscono e quale è la loro funzione?

Allora sono andato a vedere se questi termini trovano una loro definizione nel DSM V. Lì si parla di disturbi mentali ma è singolare che non esista una voce che spieghi che cosa significa “mente”, “emozioni”, “sentimenti”, “coscienza”.  Neppure nel PDM 2 non esistono voci che definiscono questi termini.

Noi psicoterapeuti non siamo i soli ad occuparci della mente: se ne occupano oltre agli psichiatri, i biologi, i genetisti, i neuroscienziati, i filosofi, gli antropologi, i sociologi, gli educatori, i semiologi, gli informatici, i genetisti, i pedagogisti, (e chi più ne ha più ne metta!) il risultato è che ogni definizione di questi termini è comunque parziale e /o settoriale.  Forse il fatto di avere una mente o delle emozioni è sembrato per molto tempo un fatto acquisito e scontato o forse troppo indefinito ed elusivo per farne oggetto di studio: la mente che studia la mente.

 D’altra parte ogni ulteriore conoscenza della mente può permetterci di intervenire più incisivamente ed efficacemente a livello individuale, familiare, scolastico e sociale.

. In questa esposizione mi devo dare dei limiti ho pensato di proporre una sorta di “dizionario” di tre concetti fondamentali: la relazione mente-corpo, la mente e le emozioni inquadrandole nel più ampio orizzonte della psicosomatica.

BREVI NOTE DI STORIA DELLA PSICOSOMATICA

 Nella prima metà del secolo scorso quasi tutte le ricerche in ambito psicosomatico erano fatte principalmente da psicoanalisti, benché Freud non si fosse mai personalmente occupato di pazienti “psicosomatici”.

La Psicosomatica ha centrato il suo interesse principale sull’interazione fra mente e corpo, fra mente e cervello. Non ha mai elaborato un modello proprio autonomo ma ha applicato teorie del funzionamento mentale come la psicoanalisi, il cognitivismo, l’osservazione clinica, ecc. sempre orientando la ricerca sull’influenza che i fattori psicologici hanno sulla eziologia, decorso ed esito delle malattie del corpo. “Prospetta una visione multidimensionale dell’essere umano. Rinuncia a trovare un vertice superiore che unifichi ogni singolo vertice di osservazione: cercherà piuttosto di proporre connessioni fra ciò che è separato” (Trombini, 1994)

Nel 1895 Freud tentò di sviluppare una psicologia basata sull’attività del sistema nervoso. Egli lo intitolò: “Progetto di una psicologia scientifica” e fa parte di lavori da lui non pubblicati (vol. 2 OS). Era una minuta spedita a Fliess incompleta e a tratti oscura. Freud non portò a termine il lavoro per le insufficienti cognizioni neurologiche del tempo. Resta però il fatto che “il principio dell’unità della scienza rimane un ideale permanente fra gli studiosi di psicologia e fisiologia” (Avvertenza editoriale Pag. 196).

Tuttavia il rapporto con il corpo ritorna periodicamente nei suoi scritti. In una lettera a G. Groddek (1917) affermava che l’inconscio “è il giusto tramite fra il fisico e lo psichico, forse il tanto a lungo cercato “missing link”. Aggiungeva che aveva deciso di non approfondire questo argomento per trattenere i medici dalla tentazione ragionare nei termini di organicità invece di imparare a pensare in termini psicologici.

Nel 1920 (pag. 234, vol. 9) scrive: “La biologia è veramente un campo dalle possibilità illimitate dal quale ci possiamo attendere le più sorprendenti enunciazioni, non possiamo quindi individuare quali risposte essa potrà dare, tra qualche decennio, ai problemi che le abbiamo posto. Forse queste risposte saranno tali da far crollare tutto l’artificioso edificio delle nostre ipotesi”.

E ancora, nel Compendio del 1938 aggiunge: “Non si potrebbe quindi fare a meno di ammettere l’esistenza di processi fisici o somatici concomitanti allo psichico (…) la psicoanalisi reputa che i presunti processi concomitanti di natura somatica costituiscano il vero e proprio psichico, e in ciò prescinde, a tutta prima dalla qualità della coscienza”.

Nei primi anni del XX secolo, Groddek (1923), Deutsch (1959), Alexander (1950) e altri avevano sviluppato il concetto di base che sosteneva che il conflitto intrapsichico era il nucleo centrale dei disturbi psicosomatici.

Negli USA negli aa. 50 ci fu un grande entusiasmo per i trattamenti psicoanalitici nei malati organici, sembrava che la medicina fosse in procinto di subire un cambiamento epocale. Come si può immaginare alla prova dei fatti gli scarsi successi dei trattamenti psicoanalitici sulle malattie organiche determinarono una profonda delusione con ritorni negativi su tutta la psicoanalisi.

 In Europa negli anni ‘ 50 – 70 si sviluppò la cosiddetta “Scuola Psicosomatica di Parigi” (Marty, M’Uzan), e in Germania la Scuola di Heidelberg (Von Weiszaeker, Mitscherlich, Cremerius, ecc.) entrambi fondate sui principi della psicoanalisi. Successivamente un altro modello che ha segnato il tempo è quello bio-psico-sociale di Engel (1977) che concepisce la malattia come una interazione multifattoriale cellulare, tissutale, organismico, interpersonale, ambientale. Il cognitivismo ha avuto, ed ha ancora, una importanza preponderante, ma le ricerche delle neuroscienze nel campo dei sentimenti ha di nuovo avvicinato la ricerca psicosomatica alla psicoanalisi. Dal 1999 viene pubblicata una rivista di Neuropsicoanalisi, nasce la Società Internazionale con lo stesso nome con sedi a Londra, New York e Capetown (Solms, Turnbull, Kaplan).

Se fino a pochi anni fa la prospettiva eterogenea della psicosomatica risultava dominante in tempi più recenti l’enorme sviluppo delle neuroscienze e della genetica, della epigenetica in particolare, hanno dato nuovi strumenti per comprendere di più i meccanismi che agiscono tra mente e corpo.

Nell’ultimo decennio del secolo scorso ingenti risorse sono state spese specie negli USA, per tracciare la mappatura del cervello e per quella della genomica umana.

 E’ chiaro però che psicoanalisi e neuroscienze non sono e probabilmente non potranno mai diventare un’unica disciplina. Ciascuna ha il proprio ambito di ricerca e i propri metodi di approccio benché entrambi si occupino dello stesso soggetto umano.

IL CERVELLO ENCEFALICO

  Il cervello è la “macchina” più complessa dell’universo. Si calcola che sia composto da 86 miliardi di neuroni e circa la metà di cellule gliali con funzioni di supporto e nutrimento. Normalmente usiamo solo il 10% dei neuroni ed ogni neurone stabilisce sinapsi con migliaia di altri neuroni.

I risultati di queste indagini sul cervello sono straordinari specialmente da quando sono stati impiegati mezzi non invasivi come la fMR (risonanza magnetica funzionale), la PET (Positron Emission Tomography), la magnetoencefalografia, la spettroscopia, l’iperscanner, strumentazioni sempre più sofisticate. Con queste strumentazioni è stato possibile individuare le localizzazioni nel cervello di molte funzioni psichiche in modo dettagliato mentre vengono stimolate e in piena attività. E’ interessante notare che queste strutture, in conseguenza della loro plasticità, possono modificarsi con le esperienze della vita, l’esercizio, con i trattamenti farmacologici e anche con la psicoterapia. I trattamenti riabilitativi di soggetti con cervelli danneggiati esitano in risultati di recupero sorprendenti. Alcune funzioni per es. come la coscienza e le emozioni non sono limitate a strutture specifiche, ma coinvolgono il cervello nella sua totalità.

Il cervello funziona per strati con modalità di tipo gerarchico da quelli filogeneticamente più antichi come il tronco cerebrale, il talamo l’ipotalamo e l’ipofisi che regolano i processi fisiologici fondamentali per la conservazione della vita; le strutture cerebrali mediali come le regioni limbiche che sono coinvolte in  meccanismi che mediano emozioni, motivazioni e comportamenti, integrazione della memoria e attaccamento, a quelle evolutivamente più avanzate come la neocorteccia e, in particolare i lobi frontali che sono più sviluppati nell’uomo che nella scala animale: devoluti alla percezione , al pensiero, ai processi associativi e al ragionamento.

 Ha un sistema multitasking, cioè può elaborare compiti diversi contemporaneamente. Elabora informazioni complesse che sono il risultato di tante informazioni elementari delle quali non siamo consci ma che vengono messe in rete e rese disponibili.

Con l’esperienza, fino dalla nascita, si organizzano e si rinforzano delle reti neurali mentre i circuiti non utilizzati si disattivano e muoiono. Si favoriscono così per selezione naturale, dei percorsi neurali facilitati senza dispersione di segnali e funzionali agli scopi richiesti (problem solving). Il cervello dunque si organizza in base ai suoi stessi processi, ha una proprietà emergente chiamata “auto-organizzaione” (Siegel, 2015 p. 193).

Le informazioni corrono dal basso verso l’alto (botton- up) dagli organi sensoriali che derivano dall’ambiente e dal corpo arrivano alle stazioni limbiche dove, fra l’altro si attivano le emozioni, e risiedono i centri della fame, della sete, del sesso e giungono alla corteccia, alla consapevolezza, che poi ha la funzione di modulare i segnali ricevuti, comprese le emozioni, con un meccanismo che funziona in direzione top-down. Possiamo considerare come molti disturbi psichici siano conseguenza di attivazione di circuiti neuronali non adattivi che portano a conseguenze di rigidità o di caos. La psicoterapia favorirebbe l’uscita da questi meccanismi con la formazione di circuiti più complessi e più integrati che offrono una maggiore flessibilità.

 La corteccia prefrontale mediale funziona come regolatrice delle stazioni emotive e della memoria (amigdala e ippocampo) ma anche è implicata nell’integrazione degli insight, nella valutazione degli stimoli, nelle rappresentazioni somatiche, nelle attività vegetative, regolazioni affettive e nell’elaborazione degli stimoli sociali. Un evento traumatico psichico o fisico può ripercuotersi su tutti questi processi così come “Un semplice atto di empatia influisce direttamente sulla fisiologia del nostro corpo” e (Siegel 2018).

 I due emisferi sono funzionalmente asimmetrici fino dalla nascita, sono collegati fra loro dal corpo calloso e c’è uno scambio continuo di informazioni. Nei destrimani il sinistro è devoluto al linguaggio, alle funzioni analitiche razionali, il destro è devoluto alla valutazione del contesto in cui si svolge l’esperienza.

Il cervello umano rimane aperto al cambiamento in risposta alle esperienze per tutta la vita. Si possono formare poi nuovi neuroni a partire da cellule staminali anche a 80 anni!

LA MENTE / CERVELLO IL PROBLEMA EPISTEMOLOGICO

 Da un punto di vista delle neuroscienze, seguendo le definizioni di Siegel la mente è “un processo incarnato e relazionale che regola i flussi di energia e di informazioni” e la mente “si crea all’interno di processi neurofisiologici ed esperienze relazionali. Emerge dal SN esteso a tutto l’organismo e dai pattern di comunicazione”

Lo sviluppo delle strutture e delle funzioni cerebrali dipende alle modalità con cui le esperienze, specialmente quelle legate alle relazioni interpersonali, influenzano i programmi di maturazione geneticamente determinati del SN.

connessioni neurali + connessioni umane+ genetica e epigenetica = sviluppo della mente

 

A queste ricerche collaborano decine di migliaia di neuroscienziati e genetisti che per es. ogni anno si ritrovano negli USA e in tutto il mondo. La quantità di lavori e ricerche pubblicati è impressionante. Non solo hanno prodotto nuove conoscenze ma hanno anche proposto ineludibilmente nuove prospettive filosofiche. Per es. J. Searle, (filosofo della mente e del linguaggio) pone il quesito: se tutto l’universo è composto di atomi e di particelle subatomiche che sono organizzate in sistemi all’interno di campi di forze, e che sono prive di senso e di consapevolezza, dove ci collochiamo noi che pensiamo di essere consapevoli, coscienti, linguistici, politici, etici ed estetici e pensiamo inoltre di essere dotati di libero arbitrio e di razionalità?  “Il problema centrale della filosofia oggi non è fornire un fondamento sicuro alla conoscenza ma è piuttosto rendere coerente e privo di contraddizioni il complesso delle nostre conoscenze”. (Il Mistero della realtà, 2019)  

 

Il problema del rapporto mente/cervello risale almeno a 2000 anni fa. Le teorie moderne con intenti esplicativi sono molte:

 interazionismo simbolico il Sé si costruisce nell’interazione sociale che non dovuta agli stimoli come per i comportamentisti ma attraverso i significati simbolici degli stimoli.

 riduzionismo o il materialismo scientifico: esiste solo il biologico e il concetto di mente è senza consistenza, non fa parte del mondo fisico ordinario.

epifenomenismo, la mente ha origine dal SN ma non è riconducibile ad esso, è un fenomeno emergente, il funzionalismo, ecc.

 In realtà il (tanto criticato) dualismo cartesiano (dualismo di sostanza), quello della res extensa il corpo, e della res cogitans, allora l’anima razionale, oggi la mente, continua a prevalere.[1] La res cogitans non esiste nel modo naturale.  La maggior parte delle persone (medici compresi) è consapevole che ci sono delle interazioni fra corpo e mente ma poi in pratica agisce come se i due ambiti fossero del tutto separati. Contro questa prassi consolidata è nata la Medicina Psicosomatica.

 Elisabetta di Baviera in una lettera a Cartesio chiedeva: in che modo l’anima che è immateriale può agire sul corpo che è materia? Cartesio ammetteva di non avere una risposta soddisfacente. Questa distanza fra materiale e immateriale è in parte ridotta perché oggi sappiamo molto di più sul funzionamento del cervello e delle funzioni psichiche ma la domanda si ripropone. Oppure è proprio la domanda che è mal posta e va riformulata in modo diverso?

Abbiamo due vie per affrontare il problema dello studio della mente: una che riguarda la conoscenza scientifica dell’oggetto studiato che esplora le strutture neurali deputate a svolgere le diverse funzioni psichiche, tipico delle neuroscienze e una che interroga la soggettività, come noi sentiamo e ciò che noi pensiamo: l’ascolto, l’immedesimazione, l’accoglimento, il contenimento delle emozioni, l’empatia, tipico delle psicoterapie. I due approcci non sono sovrapponibili ma possiamo indicarli come “complementari”. La complementarietà, sostiene Gazzaniga M. (La coscienza è un istinto, 2019 p. 228), emerge in un sistema quando si tenta di misurare uno dei due valori della coppia. Ciascun singolo sistema ammette simultaneamente due modi di descrizione non riducibili l’uno nell’altro. Il concetto di complementarietà ci conduce all’analogia con il controtransfert complementare che si differenzia da quello concordante, indicati da Racker (1970) in cui l’analista prova i sentimenti rifiutati dal paziente.

  Va inoltre sottolineata la specificità della coppia sistema/osservatore che inevitabilmente seleziona gli oggetti da osservare escludendone altri, e segue certe regole.  La fisica quantistica ha messo in evidenza come nell’universo dell’infinitamente piccolo il soggetto osservante fa parte del campo di osservazione perché produce una modificazione del campo osservato, con buona pace dell’oggettività. In un dato momento si può conoscere la posizione o la quantità di moto di un elettrone, le sue proprietà di tipo onda o di tipo particella ma non entrambe le cose. Questa condizione illustra il concetto di complementarietà.

 Una delle critiche che viene posta alla psicoanalisi è appunto il tema della non scientificità cioè delle non riproducibilità o come dice Popper, della falsificabilità, ma come si vede il problema riguarda anche la scienza creduta oggettiva. Dobbiamo anche considerare che la nostra mente non fotografa la realtà ma ne costruisce una sua rappresentazione.

   Il fisico Howard Pattee (2008) citato da Gazzaniga, afferma che la compresenza di due livelli di descrizione complementari non è esclusivo del rapporto mente e cervello è piuttosto inerente a tutta la materia vivente è alle origini della vita. La materia vivente differisce da quella inorganica (entrambi costituite da atomi) perché ha prima di tutto ha una capacità omeostatica, cioè è in primis in grado di mantenere le condizioni per la propria sopravvivenza (Damasio A. “Lo Strano Ordine delle Cose, 2019), secondo, ha la capacità di autoriprodursi e, terzo, ha la capacità di evolvere (altrimenti gli individui prodotti sarebbero tutti uguali, solo dei cloni). Gli individui, negli ultimi 500 milioni di anni, si sono fatti sempre più evoluti secondo una legge di selezione darwiniana: dagli atomi, alle molecole, ai virus e batteri, alle piante, agli animali, fino all’essere umano. Questa capacità di evolvere, l’elemento aggiuntivo, è l’auto descrizione simbolica. Pattee sostiene che i simboli stessi, quelli che servono per scrivere le istruzioni debbono avere una struttura materiale. Se costruisco una casa con i mattoni dandole una certa forma (nel caso le cellule del corpo umano) deve esserci, in qualche modo, inscritto nella materia anche il disegno che è il progetto per la costruzione. Il progetto è il simbolo della casa. L’idea è in contrasto con la credenza della immaterialità dei simboli come entità astratte. La maggioranza dei filosofi contemporanei ammette che gli eventi mentali e le esperienze costituiscono un evento fisico di qualche genere ma esitano a concludere che l’essenza di un evento mentale si esaurisca da una descrizione di ciò che avviene a livello neurale. (Gazzaniga M, 2019, p. 98). La scissione dunque, seguendo Pattee, non riguarderebbe solo mente /corpo ma è inerente alla stessa materia vivente (risposta di oggi alla domanda di Elisabetta di Baviera). Queste considerazioni non vogliono portare a una visione riduzionistica ma monistica duale. Penso all’analogia con i concetti familiari per gli psicoterapeuti di scissione o di ambivalenza rispetto ad uno stesso oggetto psichico. I simboli hanno una doppia vita e possono venire descritti in due modi: da un lato c’è il dato materiale oggettivo dall’altro c’è il simbolico soggettivo. “Il problema rimane aperto. Le neuroscienze hanno mostrato il funzionamento dei riflessi e come i neuroni comunicano fra di loro, che certe caratteristiche vengono trasmesse per via ereditaria, ma non sappiamo nulla di certo sul modo in cui il cervello esprime quello che abbiamo finito per chiamare la nostra esperienza fenomenica cosciente” (Gazzaniga p. 98).

Tra i due metodi c’è uno hjatus epistemico che è incolmabile, il passaggio richiede un cambio di registro. Non possiamo trovare, interpellando i neuroni, i concetti di giustizia, di libertà, di politica, né più in generale i significati delle cose o l’intenzionalità di una mente.  ecc. forse non lo potremo mai capire; vorremmo avere una teoria unitaria che spiegasse il tutto ma ci dobbiamo accontentare di alcune acquisizioni parziali. In termini filosofici si può dire che c’è una unità ontologica e un dualismo epistemico. Un assunto analogo ai termini di “ambivalenza” o di “scissione” relativo a certi contenuti mentali, ciò che conosciamo dipende dal punto di vista dal quale approcciamo un oggetto psichico, in questo caso la mente. Questa posizione viene rappresentata come le due facce della medaglia o come l’illusione di vedere i due profili di viso e il vaso che sta nel mezzo. Non è possibile vedere contemporaneamente le due immagini. Ciò che vediamo dipende da noi e dalla condizione in cui ci siamo messi.

La mente è dunque un qualsiasi tipo di esperienza soggettiva, ora quello di ascoltare la mia voce, di percepire la forma e l’arredo di questa stanza, la nostra presenza qui… la mente registra tutte queste istanze e le mette insieme senza che intervenga la nostra volontà. Anche durante il riposo continua ad essere attiva, a prescindere dalla nostra coscienza. C’è un’attività di fondo, della quale si è occupato Northoff (Neurofilosofia e la mente sana, 1916) che è il rumore di fondo che ci assicura la nostra continuità nel tempo anche quando siamo addormentati. A partire dagli animali è naturale ipotizzare che ci sia un particolare tipo di organizzazione biologica a dare origine ai processi mentali. (Edelman G. M., 1992 Sulla Materia della mente p.24). Bisogna rivolgersi al funzionamento del cervello ma sarebbe un errore trascurare il resto del corpo con il quale è intimamente connesso attraverso una quantità di sistemi incredibilmente intricati.

 

 

DOVE RISIEDE LA MENTE?

Arriviamo dunque a porci la domanda: dove risiede, dove è possibile ritrovare la mente anche al di fuori dei confini del corpo? La mente sta solo nel cervello, chiusa nella scatola cranica o è collegata con l’intero corpo da cui riceve per vie nervose e umorali stimoli trasformati in informazioni? Oggi si scopre la presenza di un secondo cervello, enterico e di un terzo cardiaco composti da reti neurali in grado di emettere segnali e di rispondere anche agli stimoli provenienti dall’ambiente indipendentemente dal SNC. (Pensiamo al mal di pancia di fronte a una prova impegnativa o al batticuore per un innamoramento). I flussi di energia non si attivano solo nel cervello ma sono in-corporati, cioè sono nel corpo.  Le informazioni in grado di influenzare il funzionamento della mente, provengono dal sistema simpatico e parasimpatico, dai mediatori sinaptici, dai neuromodulatori, dagli ormoni come il cortisolo, il testosterone, l’ossitocina, il progesterone, ecc. Un altro dato va aggiunto: la nostra mente non è isolata, siamo sempre connessi con la mente degli altri, non è solo intra psichica ma inter-psichica e ci influenziamo reciprocamente. Sappiamo che fino dalla nascita la carenza di un caregiver, che trascura o abusa di un bambino provoca dei gravi deficit cognitivi ed emotivi, oltre che a problemi del linguaggio. Dalla carenza di cure non nasce un simpatico e intelligente Moogli della foresta ma un bambino come quello trovato in una foresta in Francia alcuni decenni fa con dei gravi e permanenti deficit psichici. Continuiamo a rimanere connessi per tutta la vita. Pensiamo ad una mente che stabilisce continuamente legami col sociale, una mente che travalica i limiti della interiorità (D. Siegel). La relazione con l’ambiente è una forma di relazione vitale che si sostiene nell’aria che respiriamo o nell’acqua che beviamo, ma ci focalizziamo sugli aspetti interpersonali delle nostre relazioni. I nostri Sé individuali dipendono dalle altre persone oltre che dal nostro patrimonio genetico.

 Il cervello genera insiemi di segnali o di codici che, alterando i ritmi di eccitazione di determinati gruppi di neuroni, creano le “rappresentazioni mentali” che possono avere un significato simbolico. I simboli a loro volta generano altri simboli nel senso che un significante può avere più di un significato e questi, combinandosi, possono produrre altri nuovi simboli e nuovi significati. Le rappresentazioni mentali, sottoposte a processi dinamici, diventano processi cognitivi. Possiamo dare per scontato che ad ogni evento psichico ci sia una modificazione dei flussi elettrochimici del cervello. Però è vero anche l’opposto: la mente può cambiare il cervello tanto quanto il cervello può cambiare la mente (Doidge, 2007). Se per es. dirigiamo la nostra attenzione su un determinato oggetto o argomento modifichiamo il funzionamento del cervello attivando delle aree specifiche.

Possiamo avere delle “reazioni viscerali” che influenzano profondamente i nostri processi decisionali e non essere consapevoli di tali reazioni. O anche, le sensazioni viscerali danno forma alla rappresentazione psichica delle reazioni del nostro corpo di fronte ad uno stimolo che ci colpisce emotivamente.

Lo stato della mente è l’insieme dei fattori di attivazione all’interno di un cervello in un determinato momento che deriva dalla elaborazione delle informazioni attraverso una rete estremamente intricata e complessa. Gli stati della mente sono altamente funzionali e adattivi all’ambiente. Nel tempo questi flussi adattivi strutturano vie preferenziali di comunicazione fra le diverse aree del cervello che si integrano in forme sempre più complesse. La specificità e unicità di queste vie preferenziali nel loro insieme costituiscono le basi su cui si organizza la personalità di ognuno di noi. Le nostre vite soggettive emergono da stati mentali che sono estremamente sensibili alle interazioni sociali che stimolano o ostacolano i processi di auto-organizzazione cerebrale sotto l’influenza delle esperienze e delle emozioni che le accompagnano.

L’integrazione, per D. Siegel dunque conduce ad una regolazione ottimale ed è un fattore di salute. Integrazione tradotto nei termini psicoanalitici penso che possa equipararsi al concetto di elaborazione analitica. Dopo un’interpretazione od un “insight” il soggetto ne scopre, un poco per volta, le piene implicazioni, e si produce un cambiamento interno, per es. al superamento di un lutto.

 Con l’integrazione si raggiunge la capacità dell’auto-organizzazione della mente che è un sistema di regolazione dello stress presente a livello cerebrale, e codifica i modelli operativi interni utilizzabili in tutti i successivi momenti di stress relazionale (Shore, La regolazione degli affetti e la riparazione del Sé, 2003). Questa fondamentale funzione è favorita o ostacolata dallo stile di attaccamento organizzato o disorganizzato del bambino ai suoi care-giver ed è quindi un obiettivo primario dei genitori che si prendono cura di lui, cioè di renderlo progressivamente più autonomo in grado di fare fronte ai momenti di stress. Un compito che inizia dalla nascita e proseguirà fino al termine dell’età evolutiva dei figli. Possiamo considerare che un trattamento psicoanalitico efficace favorisce lo sviluppo della capacità di auto-organizzazione della mente. Questo parametro può essere un indicatore dell’efficacia e quindi del successo della psicoterapia.

 

 

 

LA PROSPETTIVA NEUROSCIENTIFICA E L’INCIDENZA DELLE EMOZIONI

I correlati neurali delle emozioni, dei conflitti psichici e dell’attaccamento sono diventati i main stream della ricerca neuroscientifica.

I sentimenti servono alla regolazione della vita, sono fornitori d’informazioni riguardanti l’omeostasi di base o le condizioni sociali della nostra vita”.(Siegel, 2015)

 Prima di tutto vorrei chiarire la distinzione fra stati d’animo, emozioni e sentimenti. Per stati d’animo intendo una “disposizione affettiva”, che orienta il modo con cui si intercettano e si vivono gli eventi ambientali e interpersonali e quelli provenienti dall’interno del corpo. “oggi non sono di buon umore” si dice comunemente. E’ una particolare coloritura affettiva più o meno duratura la cui dinamica è, almeno in parte, inconscia.  Per Damasio (p. 118) emozioni e sentimenti non possono esser confusi e stanno sotto l’ampia volta degli affetti. Le emozioni sono la gioia, la tristezza, la rabbia, la paura, l’invidia, la gelosia, il disprezzo, la compassione e l’ammirazione e il disgusto. Le emozioni comportano azioni (per es. modificazioni corporee), le cui esperienze diventano sentimenti. “L’assenza completa di sentimenti significherebbe una sospensione dell’essere” (Damasio p. 119). Senza sentimenti non potremmo valutare se un oggetto è bello o brutto, o intermedio, rivelare se un’esperienza è buona o cattiva. Se è piacevole cerchiamo di ripeterla altrimenti la evitiamo. Quindi i sentimenti sono funzionali alla conservazione della vita.

Sappiamo che i primi anni di vita sono fondamentali nel plasmare le strutture di base che ci permettono di avere una visione coerente e adattiva del mondo. Anche brevi episodi di deprivazione materna, ottenuti anche in via sperimentale negli animali, hanno effetti neuroendocrini ed epigenetici significativi che incidono sulla capacità di fare fronte agli eventi stressanti. La relazione genitori/figli a seconda dei pattern di attaccamento portano a vedere il mondo e a stabilire relazioni interpersonali in modo diverso. Tali influenze sono mediate principalmente dalla comunicazione delle emozioni.

 

[1] E’ curiosa la storia di Cartesio: Nel 1600 nei giardini di Versailles erano una specie di Dysneyland .Ingegnosi architetti avevano costruito degli automi idraulici che si muovevano, emettevano suoni e manipolavano degli strumenti musicali. Erano attivati dal passaggio dei visitatori che schiacciavano le mattonelle del sentiero. I visitatori erano affascinati. Qualcosa di questi automi suggerì a Descates che il corpo umano poteva funzionare così, come una macchina attivata dai riflessi senza la necessità di fare intervenire l’anima. (Da Gazzaniga M. La coscienza è un istinto. P35)

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Le emozioni svolgono un ruolo centrale nel determinare uno stato della mente.  Esse sono nello stesso tempo eventi neurofisiologici, collegano vari sistemi funzionali all’interno di una singola mente e anche esperienze interpersonali.

Un evento viene normalmente ricordato se ha suscitato un’emozione: per es. uno stato di vergogna o di disperazione non solo viene ricordato frequentemente ma anche rende più probabile una sua riattivazione futura perché ha un’azione facilitante in situazioni analoghe. Certi tipi di esperienze interpersonali emotivamente sfavorevoli portano a un‘incapacità di creare stati della mente coesi e adattivi e possono piuttosto attivare meccanismi dissociativi come risposta allo stress, come accade in soggetti che hanno uno stile di attaccamento disorganizzato. Oppure stimoli negativi potenzialmente patogeni non giungono alla coscienza, non vengono elaborati, rimangono come elementi “tossisci” ancorati al corpo e potrebbero essere determinanti nell’insorgenza dei disturbi fisici.  E’ altrettanto dimostrato che emozioni positive allargano il repertorio del pensiero/azione e promuovono la scoperta di azioni, idee e interazioni sociali e psicologiche a cui l’individuo può ricorrere per migliorare le sue probabilità di adattamento e sopravvivenza. Gli individui resilienti hanno approcci alla vita ottimistici e dinamici. Sono curiosi e aperti a nuove esperienze e sono caratterizzati da un’alta emozionalità positiva. Sono anche capaci di evocarla negli altri creando un contesto sociale supportivo che facilita i processi di coping. (Fredricson B. 2004)

 

 In questo contesto le emozioni funzionano come feed-back amplificanti elaborate da strutture limbiche e para-limbiche ma non rimangono limitate ad esse, coinvolgono tutto il cervello e non solo. Per J. Panksepp (2014) (le emozioni stanno alla base delle spinte motivazionali, per K. Dogge (1991) “tutti i processi di elaborazione delle informazioni sono emozionali, nel senso che è l’energia che dirige, organizza ed amplifica l’attività cognitiva”. Di conseguenza la separazione fra cognitivo ed emotivo è del tutto artificiale. Non è possibile parlare di pensiero, di intelligenza e di creatività in modo attendibile senza includere i sentimenti.

  Il corpo trasmette continuamente alla parte cosciente della nostra mente, il suo stato con messaggi provenienti fino dai nuclei che stanno nei gangli spinali che ricevono informazioni sullo stato dell’organismo e sono anche all’origine delle risposte emotive, coinvolte negli impulsi, nelle motivazioni, nelle emozioni tradizionali (Damasio, 2018). Gli assoni di questi neuroni sono fuori dalla barriera ematoencefalica e la trasmissione dei segnali non avviene solo per via nervosa ma anche per via umorale. Per mantenere una maggiore sensibilità queste fibre periferiche, irrorate dal sangue, non sono isolate dalla mielina.

È interessante la scoperta recentissima fatta da  ricercatori olandesi dei neuroni specchio delle emozioni. Si trovano nella corteccia cingolata del cervello e si attivano quando vedono l’altro individuo (topo) che prova dolore. Il topo spettatore si immobilizza per la paura. Sono stati evidenziati nei topi 23 anni dopo la scoperta dei neuroni specchio dei movimenti. Potrebbero essere presenti anche nell’uomo e risulterebbero cruciali per comprendere i meccanismi dell’empatia.

 

Le interazioni dal corpo alla mente e viceversa, le connessioni con l’ambiente e la mente degli altri, non fanno pensare più come si credeva una volta alle emozioni come entità da analizzare separatamente, ma ad un continuum, in un insieme dinamico che prende l’avvio con l’inizio della vita e termina solo con la sua fine.

CONCLUSIONI

Come già detto i risultati delle ricerche neuroscientifiche ed epigenetiche non sono sovrapponibili alle conoscenze derivate della soggettività e dall’esplorazione psicoanalitica. Tuttavia certe acquisizioni basate sulla conoscenza del corpo e del cervello aiutano a organizzare il pensiero e forniscono dei parametri attraverso i quali la narrazione del paziente può essere letta. La individuazione attenta delle emozioni e dei sentimenti in atto e la conseguente capacità di autoregolazione,  la valutazione delle capacità rappresentazionali e di autorappresentazione, la capacità narrativa che esprime la percezione delle continuità soggettiva e fra queste la capacità autonoetica (ovvero il viaggio mentale nel tempo), la capacità di costruire metafore, l’integrazione degli stati della mente che si sviluppano dando il senso della continuità della propria identità, l’integrazione interpersonale che ci mette in connessione costante con gli altri, l’integrazione della temporalità che riguarda il modo di affrontare le questioni esistenziali sono parametri attraverso i quali possiamo comprendere gli eventuali deficit psicologici del paziente e dare un orientamento alle nostre scelte di intervento terapeutico.

                                                                                               Firenze, 12 ottobre 2019

                                                                                       antoniosuman38@gmail.com

Opere citate

 

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Freud S. (1973) Carteggio Freud-Groddek, Adelphi, Milano

Freud S. (1920) Al di là del principio di piacere, vol. 9 OS

Freud S. (1938) Compendio di psicoanalisi, vol. 11 OS

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Siegel D. J. (2017) I misteri della mente, Cortina, Milano

Solms M. (2018) La coscienza dell’Es, Cortina, Milano

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