Le Opere di Winnicott. Una cornice per la ricerca futura

Psicoanalisi

Le Opere di Winnicott. Una cornice per la ricerca futura

Per prima cosa voglio portare la vostra attenzione alle introduzioni di Marco Armellini, Vincenzo Bonaminio, Paolo Fabozzi e Anna Ferruta e dare il giusto rilievo ai loro indispensabili contributi. Essi offrono un panorama approfondito degli studi winnicottiani odierni, che illumina considerevolmente l’intero progetto delle Opere. Essi hanno letto e riletto accuratamente Winnicott e lo hanno fatto con una mente aperta, e i loro saggi testimoniano non solo della loro erudizione, ma mostrano anche come tutti noi (compreso lo stesso Winnicott) dipendiamo dal lavoro degli altri per sviluppare la nostra pratica clinica e la nostra capacità di essere nel mondo, sia nella stanza di consultazione che al di fuori di essa. Gli autori delle introduzioni ai volumi delle Opere ci hanno dato quello che costituisce un 13° volume, un filo che ci guida nella globalità dei testi di Winnicott riuniti nelle Opere. Ci portano dentro i testi, sia conosciuti che sconosciuti, con una rinnovata curiosità e per questo meritano la nostra gratitudine.

Dopo essere stata coinvolta nell’impresa delle Opere, mi sono sempre più interessata alla preoccupazione di Winnicott per l’essere e per i fondamenti della salute. Sebbene André Green abbia affermato in uno dei suoi ultimi scritti (letto per la prima volta a Milano) che Winnicott si sia interessato alla questione dell’essere soltanto negli anni ’60, una rapida occhiata sulle sue Opere mostra un’attenzione costante al tema dell’essere e ai concetti compositi ad esso correlati, come la continuità dell’essere e continuare ad esistere (going on being).
Dodi Goldman, uno degli studiosi più importanti di Winnicott negli Stati Uniti, descrive i contributi più importanti di Winnicott (il gesto spontaneo, il Vero Sé, lo spazio potenziale, l’uso dell’oggetto) come “variazioni sul tema di come l’essere vivi cresce e si sviluppa, oppure viene nascosto e smorzato, nel processo di negoziazione di una via personale che, crescendo, il bambino opera per trovare una connessione significativa nei confronti dell’ambiente da cui si sta differenziando” (Abram, 2013, pp. 331-332).
Goldman collega questo concetto con l’affermazione di Loewald, che l’innovazione più significativa di Freud è quella che riguarda la pulsione dell’eros, piuttosto che quella della morte (2013, p. 332); una lettura sostenuta dall’enfasi che Winnicott dà all’essere vivo come aspetto centrale della salute mentale e come obiettivo principale della pratica psicoanalitica. Dato che la nostra capacità di essere vivi e vitali, in questo senso, dipende dalla riposta dell’altro, sia che ci si riferisca all’infante, al paziente in analisi, o alla persona ordinaria, Goldmann sottolinea la precarietà di questo stato.
Se l’essere, e come essere, e gli affetti associati (vitalità e senso di morte), costituiscono per Winnicott un costante punto focale nel processo analitico, le loro origini ci portano ai fondamenti della psiche nei primi mesi di vita e all’attenzione di Winnicott sull’infante reale e sul Sé individuale, che si costituisce attraverso l’alterità e nell’alterità, un’alterità inizialmente veicolata attraverso il corpo e attraverso il contatto corporeo tra la madre (il caregiver) e il bambino.
Entrambi i primi lavori significativi di Winnicott, “Lo sviluppo emozionale primario” (1945) e “L’osservazione del bambino in una situazione strutturata” (1941), argomentano a favore di un interesse dell’analista e del pediatra per l’interrelazione di corpo, mente e psiche; e il fatto di privilegiare il corpo e la sua cura/manipolazione nell’acquisizione di tutte le capacità di essere umani, rende il corpo stesso, unitamente alle cure materne, parte dell’emergere di un’incipiente struttura psichica e degli inizi del funzionamento mentale.
L’ambiente, a cui Winnicott attribuisce un’importanza primaria, è inizialmente un ambiente di cui il bambino non si rende conto, la ‘madre ambiente’. Ciò che l’ambiente più precoce costruisce (nelle condizioni adeguate) è il primato dell’essere vivi e dell’essere morti come qualità dell’esistenza dell’infante. “La creatività è il fare che nasce dall’essere. Indica che colui che è, è vivo” (1970, p.39). Dato che Winnicott rende prioritari in maniera così insistente il corpo e la cura del corpo nell’acquisizione dell’intersoggettività, e dal momento che molte richieste recenti di trasformazione individuale sono centrate in maniera letterale sui corpi, sono interessata a usare Winnicott per riflettere più approfonditamente sui significati consci e inconsci che si coagulano intorno al corpo, specialmente per il modo in cui la sessualità, il genere e la riproduzione sono diventati sempre più confusi, nelle richieste moderne, e nelle possibilità che hanno fatto seguito alla crescita delle opportunità tecnologiche e al cambiamento sociale.
Molta della letteratura contemporanea sull’identità di genere sembra girare intorno alle idee che l’identità e il Sé sono concretamente costretti entro i limiti del corpo sessuato e su una rinnovata insistenza sul fatto che questi limiti possono, e a volte dovrebbero, essere oltrepassati.

Il termine holding appare a più riprese nelle lezioni di Winnicott all’Institute of Education e all’LSE, ma diventa un tema centrale in “La teoria della relazione genitore-infante” (1960), in cui holding condensa la ricchezza dell’apporto della madre nei confronti del suo bambino, permettendo ad entrambi di vivere insieme un’esperienza in modo tale da incoraggiare la vitalità personale dell’infante, andando a prendere possesso per la prima volta di un corpo che ha un sesso attribuito dall’esterno, ma che non ha ancora un genere.
La ‘realtà vivente’ di un bambino e le condizioni per arrivare a ‘essere’ dipendono da questa funzione di holding della madre, che assicura che il potenziale ereditato del bambino possa alimentarsi ed essere elaborato attraverso la ‘continuità dell’essere’.

Ai primissimi stadi dell’esistenza, l’infante e le cure materne appartengono l’uno alle altre e non possono essere distinte. La salute, che significa così tante cose, in qualche modo implica un districarsi, una distinzione delle cure materne da un qualcosa che chiamiamo infante, cioè lo stato iniziale di un bambino che cresce (1960/1975, p 40).

Quando Winnicott parla di cure materne in quell’articolo egli aggiunge, ‘cioè, genitoriali’, un’estensione di significatività sempre maggiore nel mondo contemporaneo. La più comune accezione della genitorialità può essere quella in cui i genitori biologici condividono uno spazio fisico e sono entrambi convolti in una particolare versione di una famiglia, a cui contribuiscono in modi sovrapposti ma differenziati, centrati sulla cura emotiva e fisica dei loro figli e della propria relazione. Nel caso migliore, comunque, questa è un’approssimazione delle situazioni reali: dal punto di vista sociale, storico, economico e psicologico la situazione è molto più complessa, dal momento che il modo in cui cresciamo i bambini come membri di una famiglia viene sempre inconsciamente adattato secondo il modo con cui vengono fondati il nostro essere, e continuare ad essere, nel mondo. Lo stabilirsi di Sé separato nell’infanzia è il segno della salute e normalità dell’essere umano, e l’esistenza umana è segnata dalla differenza, riconosciuta attraverso la socialità e attraverso l’altro.

Il fatto che stiamo adesso assistendo apertamente ad espressioni multiple della sessualità e della coabitazione non significa di per sé che siano cambiate le pratiche, gli oggetti del desiderio, lo scopo sessuale, l’oggetto, la scelta. Al di sopra, e al di là, della possibilità concreta dovuta alle innovazioni scientifiche, di una più ampia visibilità culturale, di una crescente accettazione, sono scettica riguardo a quanto questi cambiamenti implichino una reale diversità a livello psichico, ma, se ci sono delle differenze, dobbiamo sapere come, e in che maniera, esse si producono, e quali ripercussioni è probabile che queste differenze determinino. Le nuove forme della famiglia, con coppie e genitori dello stesso sesso, e le diverse tecnologie riproduttive, stanno certamente sfidando i nostri assunti operativi di psicoanalisti, ma la ricerca psicologica empirica, in parte avviata fin dagli anni ’80, sembra confermare che la salute di questi figli segue gli stessi indicatori riconosciuti come centrali nelle forme e nelle configurazioni delle famiglie tradizionali (Golombok et al.).
Le famiglie contengono sempre una divisione in base alle generazioni e al sesso/genere, e il modo in cui queste divisioni sono vissute, consciamente o inconsciamente, è fondamentale, specialmente se i genitori sono anch’essi uomini e donne con le loro speranze, aspirazioni, i loro desideri, per se stessi, per le loro famiglie, per i loro figli. Essere uomo o donna, e quanto questo significa rispetto all’essere genitori, è centrale per loro identità, altrettanto quanto lo è l’essere genitori: uomini e donne che si sono riprodotti e/o si sono assunti il ruolo e le responsabilità dell’essere genitori.
Essere genitori, ovvero il processo di prendersi cura dei figli dalla dipendenza totale all’indipendenza, influenza l’identità e il senso di sé, attraverso l’intero ciclo di vita. Dal punto di vista evolutivo può essere considerato una fase dell’essere adulti, che la maggioranza della popolazione tende a sperimentare, ma il modo COME viene sperimentata, e i fattori che contribuiscono a questa esperienza, hanno profonde conseguenza psicologiche su tutti coloro che sono coinvolti. I bisogni dei diversi membri della famiglia influenzano il modo in cui l’essere genitori viene sperimentato da tutti, e quali diritti debbano essere garantiti, e a chi, nei diversi momenti, è uno degli aspetti più difficili della vita familiare. Il ventesimo secolo può aver visto l’espansione dell’interesse psicologico nei confronti dei bisogni del bambino, movimento di cui Winnicott è una figura chiave, ma le notizie che ascoltiamo ogni giorno dimostrano nella maniera più dolorosa quanto le condizioni di così tanti bambini in tutto il mondo siano in contrasto con la nostra conoscenza di questi bisogni.
Secondo Winnicott la realizzazione del ‘potenziale ereditato’ dipende da cure genitoriali soddisfacenti a tre stadi che approssimativamente si sovrappongono: l’holding, il bambino e la madre che vivono insieme, il bambino, la madre e il padre che vivono insieme (1960, p.43) . Ciascuno di questi stadi è in rapporto con il costituirsi delle strutture psichiche che portano alla salute, sempre messa in evidenza da Winnicott, e questa include lo spazio e il sostegno per l’identità di genere. Sappiamo che già alla fine del primo anno l’infante ha un primo senso di sé in termini di genere.
Nel suo articolo “La riparazione in relazione alla difesa organizzata della madre contro la depressione” (1948) Winnicott evidenzia fino che punto “la depressione di un figlio può essere la depressione della madre riflessa in lui” (1948/1975 p.92). “In casi estremi essi [i figli] hanno un mandato che non può mai essere completato. Il loro compito è in primo luogo affrontare l’umore della madre e se riescono a farlo, solo allora possono dare inizio alle proprie vite. Come analisti, penso che vorremmo dire che il figlio vive all’interno del cerchio della personalità del genitore, e che questo cerchio ha aspetti patologici” (1948, p.43).
Se questo accade con la depressione, è certo altrettanto significativo più in generale per gli aspetti dell’identità e i loro collegamenti con la differenza di genere e sesso.
Molta della recente letteratura sul genere, sulla differenza sessuale, e l’intero discorso sul trans, cerca di rifiutare completamente l’idea di una patologia, oppure, all’estremo opposto, insiste totalmente su di essa. Come analisti, ritengo che dovremmo rimanere aperti a qualsiasi indicatore psicopatologico, resistendo al tempo stesso all’appiattimento del dibattito, in quest’area della patologia che è sempre più travagliata. Dobbiamo anche essere chiari rispetto agli aspetti normativo e giudicanti di questa arena così combattuta, nell’interesse dei nostri pazienti e delle loro difficoltà, qualsiasi esse siano.
Considerando l’attenzione che Winnicott ha dedicato alla trasmissione di ciò che è vitale e di ciò che è mortale, attraverso le relazioni con il caregiver primario nell’holding e nell’accudimento, alle trasformazioni in ciascuno stadio del processo di holding e, considerato che il suo punto focale fondamentale è la centralità del corpo nelle fasi inziali della vita, mi sembra che non abbiamo sufficientemente investigato quanto Winnicott abbia da offrirci riguardo alle fondamenta del corpo che acquista un genere.
Paola Marion ha descritto un caso in cui, attraverso l’analisi, è diventato chiaro che la sua paziente si era inconsciamente resa estranea al processo concreto della procreazione, aspettando di essere incinta e facendo ricorso alla procreazione assistita. È stato il pensiero clinico di Paola che l’ha condotta all’ipotesi che la fertilizzazione eterologa avesse funzionato come una difesa. Sappiamo che non è raro che la scissione tra la sessualità e il divenire genitore interferiscono con la vita sessuale della coppia e che una scissione tra l’atto sessuale e l’atto di inseminazione solleciteranno inevitabilmente il mondo fantasmatico conscio ed inconscio del soggetto. Ma succede anche quando i due atti coincidono. Avere un figlio, diventare madre e padre, ha sempre riattivato temi potenti, in relazione alla sessualità infantile ed a identificazioni confuse, e confondenti. La psicoanalisi offre una prassi dedicata a investigare le decisioni assunte coscientemente e in maniera inconscia, e ad apprendere dai nostri pazienti proprio come i cambiamenti esterni contribuiscono al funzionamento psicologico. Ma, mentre la procreazione assistita e i suoi risultati possono presentare nuovi problemi, possono anche proiettare nuova luce su problemi clinici a noi familiari; in questo caso, la consapevolezza di fantasie incestuose riattivate dallo stesso processo del concepimento. Che cosa possiamo apprendere in più, su questa situazione non insolita, dall’analisi di pazienti che, per esempio, affrontano in aggiunta la complessità delle pratiche di riproduzione assistita?

In molto del materiale clinico di Winnicott c’è una franchezza riguardo ai corpi, alle origini e, in misura minore, al desiderio, che, nel loro insieme, può offrire un contributo reale alla nostra comprensione della sessualità nell’infante e nel bambino, o delle implicazioni per i genitori delle identificazioni fluide intorno alle quali la sessualità adulta si coagula in maniera precaria. Ma c’è poco che affronti in maniera diretta la sessualità della madre e del padre, o le implicazioni per essi del loro occuparsi del bambino, e delle implicazioni che questo assume per il futuro delle loro vite e per le vite dei loro figli. Questo lavoro è ancora decisamente raro nella maggior parte del pensiero psicoanalitico, specialmente in quello sull’attribuzione del genere e le sue implicazioni interne, per quanto concerne la vitalità e la salute del figlio. Noi potremmo associare la performatività del genere con fattori sociali più ampi, ma stiamo solo iniziando a considerare seriamente l’impatto e le implicazioni dei processi inconsci di entrambi i genitori e il loro potenziale impatto sulle identità dei figli, sull’associazione con un corpo e una mente che hanno un genere, e la sua relazione con la riproduzione umana.
Perfino nel mondo contemporaneo, in cui una famiglia può comprendere genitori di uno stesso sesso che hanno adottato un figlio dello stesso sesso, i fatti non negoziabili dell’esistenza umana richiedono necessariamente il contributo biologico di due sessi. Questo significa che, per tutti i figli, e per ciascuno di essi, e certamente anche per ogni adulto, sorge la domanda riguardo alle origini e alle radici della persona in un mondo che l’ha preceduta o preceduto. Questo implica dei corpi, e dei processi corporei, ma dal punto di vista psicoanalitico per noi sono centrali le implicazioni psichiche di questo stato di cose.

La psicoanalisi è nata dalla convinzione di Freud che il significato degli stati corporei nell’isteria era quello di sintomi che implicavano una condensazione di corpo e mente, e il collegamento tra stati mentali e sintomi corporei era anche al centro dell’interesse di Winnicott, il cui resoconto dello sviluppo precoce fa dipendere le strutture e i meccanismi psichici da una crescente consapevolezza del corpo e del suo significato per la psiche, in relazione sia all’esperienza cosciente che a quella inconscia, e al fatto che il corpo è sempre investito libidicamente. Ma da chi proviene l’investimento libidico? C’è l’esperienza del corpo, c’è la percezione del corpo, e, nei termini di Winnicott, l’appercezione del corpo, così che l’esperienza del corpo è sempre un’esperienza mediata da percezioni consce e inconsce di esso.
Per l’infante Winnicottiano, il corpo e il mondo sono inizialmente indifferenziati e mischiati insieme, e l’immagine e la consapevolezza iniziale del corpo, nel momento in cui si sviluppa, non è dotata di genere. Ma i corpi sono sempre sessuati, nel senso che l’attribuzione di un sesso basata sull’osservazione degli attributi corporei precede il prendere possesso, da parte del bambino, di quel sesso come caratterizzato da un genere e definito da una differenza, e precede quei tipi di cura emotiva e corporea che (anche grazie a Winnicott) sono sempre più considerati fondamentali per come essere l’una o l’altro è vissuto e compreso, dal bambino e dalla bambina, dalla donna e dall’uomo.
Winnicott pone l’accento sull’essere, sulla continuità dell’essere, e solo successivamente [emerge] l’esistenza del corpo, della mente e delle pulsioni conflittuali, in costante articolazione con la consapevolezza di sé e dell’altro, e con l’impatto della consapevolezza generazionale e riproduttiva.
In “Lo sviluppo emozionale primario” (1945) egli descrive l’aggressione e la sessualità del desiderio reciproco, e l’infante ‘eccitato’ nella relazione madre-figlio, ma non sviluppa la complessità delle conseguenze per entrambi i partecipanti. In linea con gran parte della tradizione Britannica delle relazioni oggettuali, Winnicott fa scarso riferimento alla sessualità della madre e del padre, al desiderio individuale di ciascun genitore e al loro posto nel dare forma al bambino e alla bambina e al futuro adulto che lui o lei diventeranno.
Laplanche, comunque, sostiene con forza che il dialogo tra madre e bambino è organizzato intorno ad una disgiunzione radicale, un incontro tra un individuo le cui strutture psicosomatiche sono situate prevalentemente a livello del bisogno, e i significanti, che emanano da un adulto e pertengono alla soddisfazione di quei bisogni, ma al tempo stesso portano il potenziale puramente interrogativo di altri messaggi, che sono sessuali. Questi messaggi enigmatici pongono al bambino un compito difficile, o addirittura impossibile, di padronanza e simbolizzazione, e il tentativo di eseguire questo compito lascia dietro di sé inevitabili residui inconsci.

Le donne e gli uomini portano al loro essere genitori l’esperienza di essere stati essi stessi, a loro volta, figli, la loro esperienza di aver avuto dei genitori, l’esperienza di avere avuto fratelli e sorelle o di essere stati figli unici; tutto ciò fa parte, a livello conscio e inconscio, della loro stessa storia, il loro mondo di “relazioni oggettuali”. I genitori tendono a rimettere in scena e ricreare le cure genitoriali che hanno ricevuto, ma anche le cure genitoriali che essi “desideravano” aver avuto, e questi desideri inconsci si dispiegano per creare, nel loro figlio, il figlio che essi sono stati, o che avrebbero desiderato essere. In questo processo è centrale la trasmissione transgenerazionale.
Chi, o che cosa, un figlio rappresenta per il genitore, comporta una disposizione di desideri inconsci; il modo in cui questa configurazione di desideri inconsci viene mobilizzata facilita oppure ostacola lo sviluppo personale del figlio come individuo separato. Questo è uno scenario molto particolare, nel quale la psicoanalisi può aiutare la comprensione dell’essere genitori, oltre le richieste sociali e culturali, prestando attenzione al modo in cui ciascun genitore è stato formato inconsciamente dai propri genitori e dalle strutture familiari.
In “Questo femminismo” (1964) Winnicott chiede:
“Che ne è del ragazzo che ama suo padre, ma il padre è timido e incapace di rispondere agli approcci di suo figlio perché la sua omosessualità è rimossa… Che ne è del ragazzo quando la sua eterosessualità è coartata perché si sente deprivato di suo padre e non può odiarlo in maniera sufficiente?
O
Che ne è del ragazzo che è terzo di quattro maschi e attrae su di sé tutti i desideri dei suoi genitori di una figlia femmina, così che egli tende ad adattarsi al ruolo che gli è assegnato, per quanto i genitori cerchino di nascondere la loro delusione? “(p.185)
Questi esempi evidenziano un ambiente che non è mai privo di una sua componente psichica, e mostrano come prende forma attraverso pulsioni e desideri e attraverso le complicazioni della vita che ne nascono.
Ciascun esempio dimostra come, a qualunque età, persistano i conflitti delle esperienze dei nostri primissimi incontri, nel negoziare la sovrapposizione tra mondo interno e mondo esterno.
Nel saggio “La creatività e le sue origini” (1971), Winnicott include una sezione intitolata “Gli elementi maschili e femminili dissociati che si trovano negli uomini e nelle donne”. Non entrerò qui nella discussione sulle confusioni che nascono da tutte queste parole, o sul modo in cui Winnicott stesso scivola tra i loro diversi registri [semantici], incluso il maschile e il femminile, ma, nell’esempio clinico, egli dice: “Qualcosa è stato raggiunto, che mi risulta nuovo. Ha a che fare con il modo in cui io tratto l’elemento non-maschile della sua personalità”.(p.73). Il materiale riferito proviene da due sedute; esso include la reazione immediata di sollievo, e successivamente di ritiro, all’affermazione di Winnicott che è proprio lui stesso (DWW) la persona matta nella stanza di analisi.
DW.: “Sto ascoltando una ragazza. Io so perfettamente che lei è un uomo, ma io sto ascoltando una ragazza. Io sto dicendo a questa ragazza: ‘Lei parla dell’invidia del pene’. L’effetto immediato fu di accettazione intellettuale, di sollievo. Poi il paziente disse: Se parlassi a qualcuno di questa ragazza direbbero che sono matto”.
DW.: “Non è lei che lo ha detto a qualcuno; sono io che vedo la ragazzina e sento una ragazzina che parla quando nella realtà c’è un uomo sul mio lettino. Il matto sono io”.
Il paziente replicò che si sentiva sano in un ambiente matto.”
Nella seduta del lunedì successivo, il paziente raccontò che aveva fatto all’amore con sua moglie il venerdì precedente, e sabato aveva contratto un’infezione, che Winnicott comprese come un invito a interpretare al livello psicosomatico e come un’evasione della struttura psichica rivelata nella seduta precedente. E gli elabora la complessità della configurazione mentale riferita il venerdì.

“Lei sente che dovrebbe essere soddisfatto perché una mia interpretazione ha liberato un comportamento maschile. La ragazzina a cui stavo parlando, però, non vuole che quest’uomo sia liberato, e di certo non è interessata a lui. Quello che vuole è che ci sia un pieno riconoscimento di lei e dei suoi diritti sul suo corpo. L’invidia del pene della ragazzina, soprattutto, include l’invidia di lei stesso come uomo…La malattia è una protesta da parte del Sé femminile, questa ragazzina, perché la ragazzina ha sempre sperato che l’analisi avrebbe in realtà scoperto che questo uomo, lei stesso, è, ed è sempre stato, una ragazzina (ed ‘essere malato’ è una gravidanza pregenitale). La sola conclusione dell’analisi che questa ragazzina può ricercare è la scoperta che, di fatto, lei è una ragazzina.” In base a questo si poteva cominciare a comprendere la sua convinzione che l’analisi non potesse mai aver fine. (1975, p.75)

Nella seguente discussione Winnicott propone che si verifichi una ‘dissociazione’ tra elementi ‘maschili’ e ‘femminili’, “un’accettazione della bisessualità come qualità dell’unità o del Sé totale”, e che la parte dissociata e tenuta separata tende a rimanere a una determinata età, la ‘ragazzina’. Per l’analista, c’è sempre il problema di chi, o di quale parte o elemento viene presentato, e perché. La proposta più generale di Winnicott ha a che fare con la necessità iniziale di essere, e di come questo non è potuto accadere con questo uomo, e con sua madre. Egli propone che l’elemento femminile del suo paziente aveva trovato ciò che lui chiama una ‘unità primaria’ con il suo analista nel transfert, e questo aveva dato all’uomo la sensazione di aver cominciato a vivere, in un modo che egli non aveva mai sentito prima. Essere, qui, è la condizione per l’emergere del Sé, che deve vivere in un mondo di differenza di sesso e genere.
L’elemento femminile implica una concezione diversa, più precoce, della relazione con l’oggetto, che è correlata all’essere; l’elemento femminile non ricerca [l’oggetto], perché le condizioni per cercare, cioè la consapevolezza e il desiderio dell’altro, l’assenza, e la perdita, non sussistono ancora; solo la separatezza li rende possibili.
Con l’interpretazione di se stesso, nel transfert, che vede una ragazzina, mentre, dal punto di vista biologico e sociale, c’è un uomo/ragazzo, Winnicott cattura la complessità delle identificazioni in gioco nella relazione primaria di questo uomo e nelle sue successive difficoltà e sul loro fondarsi nelle rappresentazioni mentali di immagini corporee confuse e dei loro significati.
Ma nel transfert, in questo caso, la confusione delle identità, degli elementi, delle parti della persona che vengono chiamate ‘ragazzina’ e ‘uomo’, specialmente quando vengono prese in congiunzione con la forza della ‘ragazzina’, e il suo desiderio di trionfare, sembra esser in contrasto con lo stato inziale dell’essere e con quell’elemento femminile che Winnicott vede come fondamentale sia inizialmente che nella continuità. Forse essa conferma la continuazione dell’ambiente, tanto interno quanto esterno, prodotto dalla madre, una donna che non poteva vedere/non voleva vedere un bambino maschio, e che pertanto era lontana dal mettersi in relazione con i bisogni del suo bambino; il bambino maschio ‘vede’, internalizza e si identifica con il desiderio iniziale della madre e con quelli che ne continuano ad essere i risultati nel Sé di questo paziente. Pensando ulteriormente alle implicazioni che ha, per l’uomo adulto disteso sul lettino, il veder riconosciuta da Winnicott la sua internalizzazione del desiderio materno che egli sia qualcosa che non è, e insieme la forza di quella ‘ragazzina’, e il suo desiderio di trionfare, evidenzia il potere del caregiver nello strutturare l’inconscio del bambino e dell’adulto, e delle sue implicazioni.
Riconoscere l’impatto fondamentale dei mondi inconsci dei genitori sullo sviluppo del figlio collega Winnicott a Ferenczi e a Laplanche, data l’importanza costante che ciascuno di loro, anche se con inflessioni diverse, attribuisce ai messaggi inconsci dei genitori e ai tentativi dei figli di dare un senso a questi messaggi; questa è l’importanza, inconsciamente, del desiderio dei genitori. In maniere diverse Ferenczi, Laplanche e Winnicott affrontano l’importanza della trasmissione transgenerazionale e dell’impatto dell’inconscio dei genitori sulle potenzialità che si aprono all’infante, e io ritengo che l’interesse mai sopito di Winnicott per la formazione della soggettività dell’infante da parte dell’inconscio dei genitori, soprattutto per come si sviluppa nelle sue opere più mature, può offrire strumenti per affrontare le sfide confuse del mondo contemporaneo e aiutare i nostri pazienti, e forse anche noi stessi, a venire a patti con esse.