House M.D.
Dicembre 19, 2020 2024-08-14 8:13House M.D.
House M.D.
Un ospedale che non dimette
a cura di Luca Ricci
tempo di lettura 2 minuti
Creatore: David Shore
Anno: 2004-2012
Produzione: Stati Uniti d’America
Serie ormai entrata nella cultura pop, House M.D. (Medical Division) propone un personaggio che tocca tutte le corde giuste per ammaliare il pubblico. A queste corde si associa l’orchestra dell’ambientazione ospedaliera, che sempre coinvolge per il perturbante richiamo alla relazione paziente-medico, così ovvia e così sfocata allo stesso tempo.
Il personaggio del Dr. Gregory House è affascinante, dotato di un umorismo tagliente e di un cinismo accattivante. È anche un fine osservatore di fatti e dettagli apparentemente insignificanti, sia medici che umani, che mette insieme per giungere a conclusioni, lui direbbe deduttive, sempre sul crinale della paranoia combinatoria. In realtà, più che della deduzione, House è un’artista dell’abduzione. E non è il primo esempio narrativo. Suo predecessore e modello (David Shore si è esplicitamente ispirato a Conan Doyle per la creazione della serie) è Sherlock Holmes. Verrebbe quasi da dire “Elementare…”. Tanti sono i paralleli con l’investigatore, dall’uso di sostanze stupefacenti, alle difficoltà di instaurare relazioni interpersonali, all’impiego di un metodo che sembra richiamare la posizione schizoparanoide, alle oscillazioni umorali caratterizzate da momenti espansivi e momenti di ritiro. Entrambi abitano al civico 221 B.
House, però, presenta una differenza significativa rispetto al “collega” britannico. Il Dr. House lavora in un ospedale, il Princeton Plainsboro Teaching Hospital. È qui che le dinamiche del medico si fanno decisamente diverse da quelle di Holmes.
Trovo curioso che, fra i tanti nomi che potevano essere scelti per chiamare il personaggio, sia emerso House, quasi a sottolineare la sua appartenenza e la sua identità a uno spazio definito. Anche l’aggiunta di M.D., Medica Division richiama a un luogo. Gregory House è una parte di un luogo, di un ospedale che si comporta come una famiglia. La serie riesce a mantenere (salvo una caduta di tensione ovvia dalla quinta stagione) un ottimo equilibrio tra le dinamiche interpersonali e le sfide diagnostiche. Risulta sempre evidente come i personaggi che orbitano intorno a House siano costantemente attenti affinché il medico non incorra negli eccessi a cui è portato. Si ha la sensazione che il Super-Io prenda la forma dei membri dell’équipe, del collega e amico Wilson (già Watson) e, soprattutto di Lisa Cuddy, la direttrice sanitaria. Come una rete, queste figure sembrano tutelare House, proteggerlo dalle conseguenze della sua incontenibile onnipotenza. Si crea allora una lotta, talvolta comica talvolta drammatica, tra le spinte edonistiche (e anche autolesioniste) di House e i suoi colleghi.
Tutto si svolge all’interno dell’ospedale. Tutto. Sembra che da quell’ospedale non si possa uscire, se non pagando un prezzo drammatico in termini di distacco emotivo. Le separazioni in House M.D. sono sempre traumatiche. E questo non vale solo per il protagonista, ma per tutti i personaggi. Non sembra un caso che il Dr. House abbia proprio una disabilità alla gamba. La serie vede i personaggi intessere una rete quasi familiare invischiante, tentacolare, che impedisce un’evoluzione personale. House appare come colui che per primo cerca di non far separare i suoi colleghi, mettendo in atto strategie emotive di controllo molto efficaci, coadiuvate anche dal suo forte carisma e dalla sua genialità che ispira riverenza e sudditanza. Ma anche lui è vittima dello stesso controllo del clima dell’ospedale. Neanche lui può andare via. È zoppo, sia emotivamente sia fisicamente. Si appoggia all’ospedale e l’ospedale non lo lascia camminare e cadere da solo. Lo tutela in una palude di attenzioni. E nel costante controllo esercitato su di lui, neanche i colleghi possono emanciparsi. In questo contesto, sembra interessante anche la sigla, nella quale vengono associate immagini ai nomi degli attori. Per ogni personaggio sembrano comparire proprio le “mancanze” per la completezza e l’autonomia: House è senza la parte destra dell’encefalo, quella emotiva; Cuddy senza i “nervi” per decidere se separarsi; Foreman è “senza cuore”, Wilson, con un corpo calloso sottile, non riesce a prendere posizione e diventa specchio accondiscendente dell’Altro; Cameron senza libertà; Chase manca di “spina dorsale”. Tutte parti anatomo-emotive che la famiglia dovrebbe promuovere. E appartengono tutte, simbolicamente, a un unico organismo: l’ospedale.
Gregory House è ciò che l’ospedale vuole che lui sia: un messia salvifico. Ma sembra che ci sia altro, che lui sia anche altro. In un contesto in cui gli è chiesto di essere un adulto che sorregge la salvezza delle vite dei pazienti e sprona i colleghi a diventare autonomi e maturi, forse Gregory House vuole essere un adolescente per poi, eventualmente, essere adulto.
Dr. House M.D. è una serie che mostra il vincolo della definizione di identità del contesto in cui si vive, le facilitazioni e gli ostacoli che le proiezioni esterne operano sulla capacità dell’individuo di raggiungere e esprimere una parte vera e viva del Sé.
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