Games Of Thrones

Recensioni

Games Of Thrones

Games Of Thrones

Separarsene non è un gioco…

a cura di Francesco Burroni

tempo di lettura 3 minuti

Creatore: David Benioff, D. B. Weiss

Produzione: USA

Anno: 2011 – 2019

Avrebbero dovuto dirlo. Games of Thrones, questo gioco dà dipendenza.

Perché è un opera imponente, gigantesca, scritta da un autore illuminato (Martin) e adattata per lo schermo da due maghi dello showrunning (Benioff e Weiss). Una rivoluzione narrativa durata 8 stagioni infinite, andata in onda per la prima volta nel 2009; dieci anni di relazione con i personaggi, in cui si vedono crescere, sbocciare, morire tragicamente, scheggiarsi, diventare saggi o governare, scopare, impazzire, piangere, uccidere. Amare.

Staccarsi da noi.

L’ottava stagione, che ha messo la parola fine ed ha sancito la conclusione della più grande serie TV mai esistita, ha prodotto una epica angoscia di separazione nel pubblico affezionato.

Bark.com, un sito anglofono, ha persino messo a disposizione un servizio per i fan più addolorati della fine di G.O.T.; al costo di quarantacinque dollari l’ora viene offerto un counseling specifico su Games of Thrones, per elaborare l’abbandono dalle terre dei Sette Regni. Tutto capibile, zero sorprese.

Questo perché la storia ha creato un immaginario potente e spesso incomprensibile, nel quale si viene da subito affogati, senza aver nessun controllo. Le vite dei personaggi scivolano, come in una danza macabra, in un mondo incantato, tra castelli, spazi claustrofobici, armi, bestialità e innocenza. In continua lotta per la sopravvivenza. Quale sopravvivenza sta a noi capire.

Come in un dipinto di Brughel, scivoliamo nei meandri di un regno fatto a pezzi, il Regno di Westeros, dove la morte di un Re ha causato una tragica guerra civile. Re Baratheon, considerato il Re “buono” (ma poi buono cosa significa?) muore. Era stato lui a sconfiggere il “Re folle”, Aerys Targaryen, il tiranno divenuto sadico e violento, impazzito per colpa del potere, per sedersi su quel maledetto Trono di Spade.

La morte improvvisa di quello che sembrava un salvatore provoca un trauma sociale, una ferita che pare non trovar cura. Tutti fuggono a modo loro dal dolore, dall’integrazione emotiva, passando attraverso disperate fasi maniacali, per giungere con fatica estrema ad una posizione depressiva, mentre la rappresentazione acquisisce un crescendo di aggressività, inondata di impulsi selvaggi ed angosce primitive.

Ma il colpo magistrale è ben altro! Vediamo nel primo episodio della prima stagione la scena che davvero scatenerà il trauma civile. Seguiamo con gli occhi dell’innocenza Bran, il bambinetto erede della casa Stark, salire sulla torre più alta del castello, scalandola dall’esterno, guardiamo dove guarda lui, posiamo le mani sulla pietra ruvida dei mattoni, salire, salire, fino ad una finestra aperta. È un grillo questo ragazzo, ed ha imparato a scalare le mura di pietra del castello come fossero alberi. Sbircia dentro una finestra. Sbirciamo dentro con lui, catturati, imprigionati con lo sguardo su quelle due sagome avvinghiate, la regina Cersei e il fratello gemello Jaime, in un rapporto sessuale incestuoso.

Questa è la scena primaria. La scena primaria è un incesto! La guerra di Westeros nasce da un incesto.

Ma chi c’era in quella stanza? O chi avrebbe voluto esserci dentro? Cersei e Jaime, i due fratelli Lannister, oppure era una identificazione proiettiva di Bran? C’era Bran con la sua regina? Con sua madre? (Un’ombra nera piomba sul casato Stark… ) L’eterna lotta dell’Edipo!

E quando il principe Jaime si accorge del ragazzo (e di noi) lo spinge giù dalla torre per ucciderlo. Il ragazzo si spezza.

La maledizione/castrazione arriverà per tutti e tre i giovani Stark, che da quel momento vivranno un’odissea di tenebre, un incubo esterno continuativo, proiezione forse del senso di colpa interno. Come da copione psicoanalitico, Ned Stark, loro padre, morirà ucciso. Affonderanno tutti nella fragilità.

Sansa diverrà la promessa sposa di re Joffrey il sadico.

Arya vivrà in una spasmodica fuga braccata da assassini. Come Edipo si farà cieca.

Questi ragazzi pagheranno la colpa dei padri, ma alla fine diventeranno degli eroi e sarà la loro tremenda fragilità che spazzerà via il Grande Inverno.

Ed è gustoso rimanere imprigionati nelle ragnatele delle relazioni, dove ogni personaggio è contraddistinto da una caratteristica principale: Il servitore, il coraggioso, l’invidioso, il pauroso, il malvagio, il sadico, l’avido, il saggio, il lussurioso, il fragile, l’illuminato, il predestinato. E non è difficile capire che ogni personaggio rappresenta una parte, spesso davvero poco integrata, del mondo scisso di Westeros. Come in un cupo medioevo di sangue il nemico è fuori da noi, è tritato, fatto a pezzi, e per interi episodi prevalgono dinamiche persecutorie, un pernottare perenne nella posizione schizo-paranoide.

Se guardiamo ben in fondo, possiamo fraternizzare con ogni personaggio, anche quello che commette gli abomini più orrendi, poiché alla fine, il fantastico mondo di Westeros è il fantastico mondo del nostro inconscio, e nelle sue infinite profondità, anche le parti peggiori e lontane ci sono comunque fraterne.

Vediamo i nostri beniamini cambiare, accettare l’impotenza, scivolare nella nostalgia, buttarsi a capo fitto nel bello e nell’orrore della vita. Momenti epici e fortemente simbolici, come ad esempio quando Ygritte dice al giovane Jon Snow “You know nothing Jon Snow” risuona come un invito ad accettare l’ignoto, a non sapere proprio niente di come va la vita, di cos’è la morte, di che cos’è l’amore.

Questo G.O.T. non sembra Bion?

Diverranno saggi questi ragazzi, (che sono già i nostri ragazzi) e cercheranno di unire le regioni che erano divise, per dar vita ad un nuovo Regno dove finalmente prevarranno l’equilibrio e la serenità.

Come nella vita poi, qualcuno nel suo viaggio migliorerà e maturerà, qualcun altro no.

Ed è bello sapere anche questo. Che a volte certe parti non si integrano, che certi istinti sono incontrollabili, certe tensioni ingovernabili. E neanche tutta la Psicoanalisi di questo mondo potrà farci qualcosa.

Come il Regno del Nord, che sarà per sempre indipendente e libero.

Ed alla fine, come in un libro di Hesse, ci si sveglia dal giuoco del trono, dalla guerra, dal potere. Dal narcisismo. E si aprono nuove possibilità, per iniziar da capo il viaggio.

E sembra sia stato tutto un sogno, un gioco bello e orrendo, delizioso e disperato, con gioie ardenti e ardenti dolori. Un bellissimo sogno. Il sogno del trono.