Cosmopolis

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Cosmopolis


Cosmopolis

  

 

a cura di Lorenzo Gambacorta

 

 

tempo di lettura 2 minuti

 

 

 

Autore: Don De Lillo 

Edizione originale: Scribner, 2003 

Edizione italiana: Einaudi, 2003

 

 

 

C’è uno spettro che si aggira per il mondo…lo spettro del capitalismo”

Cosmopolis, tredicesimo romanzo di Don De Lillo, è interamente ambientato in un giorno d’aprile dell’anno 2000. Quando il miliardario Eric Packer, giovane magnate ricchissimo, intelligentissimo e particolarmente ossessivo, decide di voler farsi portare a tagliare i capelli dal vecchio barbiere del padre, in una zona poco raccomandabile di New York. Nel viaggio in limousine vari intoppi rallentano lo spostamento: un ingorgo, una manifestazione, un uomo che si da fuoco. Sono segnali di brecce nel controllo. Tutto infatti è controllato nella vita di Packer: la limousine in cui gira è iper tecnologica, lui fa check up medici ogni giorno, è un genio della finanza in grado di anticipare ogni mossa. La breccia però inizia a aprirsi fin dall’inizio del viaggio, perché una delle guardie del corpo gli suggerisce che una minaccia credibile potrebbe star incombendo.

La minaccia è subito intuita dal lettore, perché le vicende di Packer si intrecciano fin dall’inizio con quelle raccontate sul proprio diario da parte di Benno Levin, personaggio dalla non chiara connotazione completamente ossessionato a sua volta da Packer, votato unicamente a volerlo incontrare.

Packer prosegue il suo viaggio con metodiche tappe. Ma ad un certo punto il controllo si spezza, un enorme investimento che sarebbe dovuto esser sicuro, calcolato fin nei minimi dettagli, non va secondo i piani. Qualcosa è uscito dallo schema. Da li, ogni cosa che sembrava programmata inizia a deviare. Packer scivola lentamente verso la follia.

Alla fine, quasi per caso, Packer e Benno si incontrano. Ma a quel punto la nemesi minacciosa e folle non è più cosi tale, i due sembrano incontrarsi nel momento esatto in cui ognuno di loro potrebbe essere lo specchio dell’altro. Coniugati da un’ossessione, per il denaro il primo, per il miliardario il secondo, si fronteggiano consci del fatto che uno dei due dovrà necessariamente morire per mano dell’altro. Eppure è proprio nel loro guardarsi che qualcosa accade, perché ognuno di loro si rende conto che ciò che vede è ciò che intimamente è: l’Altro diventa mezzo di ri-flessione ove sorge la consapevolezza della vacuità dell’onnipotenza; Packer vede il riflesso del proprio dolore negato, ma Benno vedrà in Packer l’atroce verità del fatto che l’unica cosa a muoverlo, piuttosto che ragioni morali di attacco ai perversi meccanismi di un sistema disumano, era solo la rabbia per ciò che avrebbe voluto, e non ha potuto essere. Cosi, attraverso due personaggi ambigui e freddi, esasperati da una psicosi latente, De Lillo rappresenta una realtà dove ogni avversione alla struttura sociale, al dominio economico, allo status quo, finisce per essere inglobata e si rivela solo come connivente invidia. Se c’è una redenzione, è nella cognizione del dolore che attraverso Benno, Packer intuisce per la prima volta, anche se è solo la consapevolezza postuma che il dolore interferiva con la sua immortalità. Era indispensabile alla sua unicità, troppo essenziale per poter essere ignorato, e non riproducibile, non credeva proprio, da un computer.