I due papi

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I due papi

I due papi

… e il potere generativo dell’incontro

a cura di Cosmo Pietro Ferraro

tempo di lettura 2 minuti

Regia: Fernando Meirelles

Produzione: USA, Regno Unito, Italia, Argentina

Anno: 2019

Dal 2013 la Chiesa Romana si trova in una situazione che non aveva mai vissuto prima, in questi termini, lungo tutta la sua storia. La presenza di due papi, il regnante Papa Francesco ed il papa emerito Benedetto XVI, è ormai una condizione a cui tutto il mondo si è completamente abituato e che ci fa perdere di vista la straordinaria eccezionalità della cosa. È questo probabilmente il motivo per cui diversi artisti invece restano ispirati dalla questione, non ultimo anche il regista premio Oscar italiano Sorrentino con l’ultima stagione della serie tv The New Pope.

Netflix non si è fatta sfuggire l’occasione per produrre un lungometraggio che è oggi in concorso per i più importanti premi internazionali. Il film si intitola appunto I due Papi, diretto da Fernando Meirelles (già candidato all’Oscar per City of God) il quale ha adattato per il cinema un’opera teatrale di Anthony McCarten, che risulta sceneggiatore del film, e che vanta già numerose candidature all’Oscar con La teoria del tutto e L’ora più buia.

Il film, partendo da fatti e testimonianze reali, immagina la discussione politica ma anche intima e personale che potrebbe aver avuto luogo in seno alla Chiesa e in particolare tra i due uomini al centro della scena. Il tema del film è essenzialmente quello dell’incontro. Gli oggetti in campo sono tre: Bergoglio, Ratzinger e il ruolo del Papa, ruolo ricoperto proprio da Benedetto XVI ma che si trova sul punto di formalizzare le dimissioni e lasciare il suo posto a Bergoglio.

I due come caratteristiche e personalità si trovano agli estremi. Tanto rigido e conservatore l’uno, così aperto e riformista l’altro. Rispecchiano quasi un conflitto dinamico nell’inconscio della Chiesa. Due funzionamenti della mente ecclesiastica che devono trovare il modo di coesistere e lavorare verso un compito comune, quello di creare all’interno del campo costruito dal loro incontro un oggetto terzo e nuovo che prima non esisteva: il prossimo Papa.

Quello che ci confonde sin dall’inizio del film è la questione del reale. Quanto è vero ciò che stiamo vedendo e ascoltando? Dove finisce il resoconto storico e dove comincia la fantasia di chi racconta? È una domanda che spesso ci facciamo anche nella stanza di analisi quando ascoltiamo i racconti dei nostri pazienti ma che, il film ci insegna, in entrambi i casi va assolutamente messa da parte. Il regista è bravissimo a sottolineare l’importanza di quei piccoli gesti e momenti di vita comune che solo superficialmente possono essere considerati privi di senso e significato. La ricerca della verità in terapia può portarci spesso a trattare il dolore del paziente come un feticcio, considerando semplici resistenze tutti quei i discorsi che si allontanano da quello che riteniamo il solo cuore del problema. Questo film ci mostra l’importanza delle piccole cose e come l’incontro tra i due si sviluppa e si forma proprio attorno alle situazioni più comuni. È la condivisione emotiva che struttura il legame tra loro molto più che la condivisione forzata e intellettualizzata della loro visione della Chiesa, che sarebbe appunto il cuore del problema. Bergoglio che chiede a Ratzinger di suonare qualcosa al piano per lui, o quest’ultimo che ascolta il cardinale argentino mentre gli spiega le regole del calcio quando insieme guardano una partita in tv.

La forza della scrittura teatrale, che a volte è una limitazione per il cinema, ci restituisce il potere generativo dell’incontro. Man mano che il film avanza i due sono sempre più uniti e pronti a trovarsi in un punto comune che possa creare qualcosa di nuovo, che funzioni, traendo forza dalle caratteristiche di tutti e dalle diversità. A questo punto i due si incontrano in un luogo altro, quasi fuori dal tempo, in una stanzina dietro il dipinto del Giudizio Universale all’interno della Cappella Sistina. Luogo in cui solitamente viene formalmente definito in modo istituzionale il nome del nuovo Papa. Non è un caso che il regista abbia scelto proprio questo posto così simbolico ed è qui che i due mangiano insieme un pezzo di pizza al taglio preso per strada e sono pronti ad incontrarsi davvero, confessandosi ed esplicitando anche le loro fragilità e punti deboli. L’affettività prende il sopravvento sul carattere istituzionale dei loro colloqui precedenti dove regnava distanza, diffidenza, invidia e gelosie. I due non possono che finire a ballare il tango insieme!

Francesco è il nome del nuovo Papa, l’oggetto nuovo creato dall’incontro tra di loro, che porta con sé un modo nuovo e mai conosciuto prima di funzionamento per la Chiesa e regala la possibilità di un cambiamento.